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Le novità del nuovo regolamento sui dispositivi medici MDR

Il 26 maggio 2021, in Europa, entrerà in vigore il nuovo regolamento sui dispositivi medici, comunemente abbreviato con l’acronimo MDR (Medical Devices Regulation). Sostituisce il precedente MDD (Medical Device Directive), in campo fin dal 1993 con lo scopo di armonizzare le regole sui dispositivi medici in Europa. L’MDR porta una significativa quota di cambiamenti di natura regolatoria, con un grande impatto non solo sulle aziende produttrici, ma anche su tutti gli attori coinvolti nel ciclo vitale del dispositivo.

 

Il nuovo regolamento è circa quattro volte più esteso del precedente, in termini di documenti e allegati, e la parola “safety” appare 290 volte rispetto alle 40 dell’MDD. Tutti gli incidenti, gli infortuni ed eventualmente i decessi correlati all’utilizzo di uno specifico dispositivo, andranno inseriti in un portale europeo col compito di centralizzare e rendere trasparenti le informazioni sui dispositivi medici. Le nuove regole richiederanno alle aziende produttrici di generare dati clinici circa la sicurezza e la performance dei loro dispositivi, soprattutto in relazione agli standard di equivalenza. La tracciabilità dei singoli prodotti sarà uno degli aspetti critici attraverso l’implementazione della tracciabilità unica dei dispositivi (UDI), richiesta su tutte le etichette di prodotto.

La definizione di “dispositivo medico” sarà allargata anche a tutti i dispositivi precedentemente definiti come non-medici o estetici che precedentemente non erano regolati, come, ad esempio, prodotti per disinfettare, lenti a contatto, laser per epilazione. I prodotti sprovvisti di marchio CE dovranno adeguarsi immediatamente ai requisiti di sicurezza generale e prestazionale dell’MDR, mentre tutti i dispositivi già marchiati CE dovranno adeguarsi entro quattro anni.

 

Il nuovo regolamento MDR sarebbe dovuto entrare in vigore il 26 maggio 2020, ma a causa della pandemia da Covid-19 e la conseguente crisi economica internazionale è stato concesso un anno di sollievo alle autorità sanitarie nazionali, agli enti notificati e ai fabbricanti di dispositivi medici. Un sondaggio di MedTech Summit svolto a marzo 2020 volto alle aziende ha mostrato che: il 17% dei produttori si considerano completamente pronti per l’adeguamento all’MDR, il 15% affermano di non essere “affatto pronti”, il 65% dichiarano avrebbero sfruttato completamente il tempo restante del vecchio MDD per prepararsi.

 

Il nuovo regolamento rappresenta un’opportunità per migliorare la trasparenza delle informazioni tecniche sui dispositivi medici rispetto al passato, elevando così la qualità dei processi e dei prodotti.

Sostituti ossei sintetici e membrane di collagene in odontoiatria

La chirurgia ossea ricostruttiva ha lo scopo di rigenerare la perdita o il riassorbimento di sostanza ossea attraverso l’utilizzo di materiali e tecniche che permettono di mimare e di attivare meccanismi riparativi specifici e fondamentali quali l’osteogenesi, l’osteoinduzione e l’osteoconduzione.

 

  • Osteogenesi: ormazione di nuovo tessuto osseo a opera diretta di cellule progenitrici e osteoblasti
  • Osteoinduzione: attività di regolazione dei fattori di crescita in grado di innescare la differenziazione di cellule mesenchimali in senso osteoblastico e il processo di rigenerazione ossea
  • Osteoconduzione: supporto fornito da una matrice (o scaffold) che consente la deposizione di nuova sostanza osteoide

 

Qualsiasi tecnica rigenerativa non può prescindere da questi tre elementi, unitamente alla vascolarizzazione del sito trattato e alla stabilità dell’innesto. Quando i difetti ossei sono piccoli e il paziente è in buone condizioni di salute, l’osso dispone di un’ottima capacità di guarigione intrinseca, in grado di offrire da sé “genesi” e “induzione”; è sufficiente che il chirurgo riempia il vuoto della perdita di sostanza con innesti o sostituti ossei in modo da favorire la sola osteoconduzione, fornendo la struttura tridimensionale su cui può avvenire il processo di rigenerazione.

L’osso autologo è quello prelevato dal paziente stesso e offre indubbiamente numerosi vantaggi perché oltre alla matrice ossea osteconduttiva, è in grado di fornire anche elementi osteogenici e osteoinduttivi grazie alla presenza di cellule e fattori di crescita. Tuttavia, la disponibilità di osso autologo in sede endo-orale è limitata, mentre il prelievo da altre parti del corpo (bacino) è invasivo, rischioso e non sempre possibile. Oltre all’innesto di tessuto autologo, esistono tre categorie principali di sostituti ossei: omologo, eterologo, sintetico.

L’osso omologo è quello da donatore cadavere. Si può ricevere dalle banche dei tessuti, ma anche in questo caso ci sono limitazioni di varia natura che non sempre ne permettono l’impiego.

I sostituti ossei eterologhi sono innesti di derivazione biologica animale, ovvero prodotti a partire da osso naturale (di solito bovino o equino) decellularizzato e privato di tutti gli elementi antigenici. Possono offrire diverse soluzioni, in granuli o blocchi di osso corticale, o spongioso, con differenti tempi di riassorbimento e rivascolarizzazione. Alcuni sostituti ossei eterologhi hanno una componente proteica/collagenica preservata in grado di favorire una rapida osteointegrazione, nonché un’osteoinduzione indiretta.

I sostituti ossei sintetici, disponibili in un’ampia gamma di diversi materiali, quali ad esempio idrossiapatiti, fosfati e solfati di calcio, etc, hanno caratteristiche molto eterogenee e forniscono solitamente la sola impalcatura osteoconduttiva per la neoformazione ossea.

 

I sostituti ossei sintetici SpherHA

 

Tiss’You ha sviluppato la linea di sostituti ossei sintetici SpherHA, composti da un’idrossiapatite bio-mimetica nano-strutturata. L’idrossiapatite è un minerale presente nella componente inorganica dell’osso umano. Sia la composizione che la struttura dei cristalli di SpherHA sono estremamente simili alla matrice minerale delle nostre ossa, con un rapporto calcio / fosfato di 1,67: lo stesso dell’apatite ossea naturale.

La struttura altamente porosa e interconnessa e la sua composizione garantiscono non solo un’ottima osteoconduzione e circolazione delle sostanze nutritive, ma un vero e proprio stimolo attivo alla formazione di nuovo tessuto osseo, favorendo i processi di colonizzazione cellulare e una precoce vascolarizzazione. La nano-struttura dei cristalli di SpherHA si traduce in un elevatissimo rapporto superficie su volume che garantisce una completa degradazione a opera dell’attività osteoclastica con conseguente rimodellamento in nuovo tessuto osseo vitale. Questi elementi, unitamente alle sue proprietà bio-mimetiche, rendono SpherHA un sostituto osseo ideale per l’osteointegrazione e la rigenerazione dei difetti ossei.

SpherHA è disponibile in diversi formati: chips porose, granuli densi, pasta iniettabile e crunch malleabile. In chirurgia odontoiatrica, sono indicati per il riempimento di difetti ossei piccoli e medi parodontali e perimplantari, per il riempimento degli alveoli post-estrattivi e per il rialzo del seno mascellare.

Scarica il catalogo di SpherHA (PDF)

 

Collagene e GBR (Guided Bone Regeneration)

 

Nella chirurgia ossea ricostruttiva, specie in odontoiatria, è importante guidare la crescita ossea limitatamente all’area danneggiata, utilizzando membrane barriera allo scopo di impedire l’ingresso di elementi non osteogenici nel sito trattato. Questa procedura, chiamata GBR (Guided Bone Regeneration), permette di evitare l’infiltrazione di fibroblasti provenienti dai tessuti molli adiacenti, scongiurando così la formazione di tessuto fibroso nel sito d’innesto.

A tale scopo, Tiss’You ha sviluppato Collygen, una membrana assorbibile di atelocollagene di derivazione equina, facilmente applicabile senza necessità di fissazione, per la protezione degli innesti ossei nelle tecniche di chirurgia rigenerativa. Collygen grazie alla sua trama collagenica, non si limita soltanto a fornire una protezione passiva, ma partecipa attivamente al processo di guarigione del sito trattato. Recentemente, è stato dimostrato che proprio le membrane collageniche, ritenute in passato solo barriere passive, agiscono invece come un vero e proprio comparto bioattivo, interagendo con le componenti cellulari che afferiscono al sito di innesto. I processi così attivati contribuiscono alla formazione del tessuto osseo e ad un suo migliore rimodellamento.

Scarica il catalogo di Collygen (PDF)

Quando la rigenerazione ossea ha bisogno di una spinta

La medicina rigenerativa è una disciplina finalizzata alla rigenerazione dei tessuti che sfrutta mezzi esterni per migliorare o ripristinare la naturale capacità di guarigione del nostro corpo. Alcuni tessuti incontrano più difficoltà nell’innesco dei propri meccanismi riparativi, ostacolati da condizioni come: l’assenza di ossigeno e nutrienti, uno stato infiammatorio cronico, una matrice tissutale particolarmente complessa da rimodellare. Nel caso del tessuto osseo, però, la rigenerazione avviene con ottime probabilità di successo grazie alla buona vascolarizzazione del tessuto. È la ragione per cui, a seguito di una frattura, la stabilizzazione dell’osso e il riposo sono sufficienti per attendere una completa guarigione.

Nonostante l’osso abbia questa propensione a guarire da solo, la rigenerazione ha successo solo se sono presenti tutti gli elementi che gli esperti del settore riuniscono nel cosiddetto “Diamond Concept”: cellule, fattori di crescita, scaffold, stabilità, vascolarizzazione. Le cellule sono le attrici della formazione del nuovo tessuto, i fattori di crescita sono i segnali per la buona coordinazione dei processi, lo scaffold è il supporto sopra cui viene intessuta la trama della matrice tissutale, la stabilità è determinata dalle condizioni meccaniche e, infine, la vascolarizzazione permette l’arrivo di ossigeno e di ogni altro ingrediente mancante. In assenza di uno o più di questi “fondamenti”, l’osso non guarendo darà origine a condizioni patologiche, come ad esempio la pseudoartrosi.

La pseudoartrosi è caratterizzata da un callo fibroso, ovvero il risultato della fallita guarigione, e da dolore persistente che va trattato con un intervento chirurgico con l’obiettivo di rimuovere il tessuto osseo sclerotico. La pulizia del sito lascerà un vuoto che va riempito con matrice ossea, la quale può provenire del paziente stesso, da donazione o essere di origine sintetica. Se la pseudoartrosi si è verificata sulla base di condizioni di rischio del paziente, è importante sfruttare terapie cellulari e l’uso di fattori di crescita per aumentare la capacità rigenerativa. Infine, occorre conferire una stabilità meccanica assoluta all’impianto biologico.

Tiss’You offre diverse soluzioni per il trattamento delle pseudoartrosi (o di altre patologie ossee come la necrosi avascolare e le cisti ossee), a partire dai kit procedurali che permettono di sfruttare le cellule mesenchimali da tessuto adiposo (Lipocell) o le cellule mononucleate da sangue periferico (Monocytes). Recentemente, abbiamo introdotto in commercio SpherHA, un sostituto osseo sintetico basato su nanocristalli di idrossiapatite, un composto di calcio fosfato estremamente simile alla matrice minerale fisiologicamente contenuta nelle nostre ossa. SpherHA è disponibile in diversi formati per sopperire alle diverse esigenze in ambito ortopedico, neurochirurgico e dentale, come i granuli densi, le chips porose, la pasta iniettabile e il crunch malleabile.

Il dispositivo, grazie all’elevato rapporto superficie/volume, è uno scaffold ideale per l’osteointegrazione, inoltre la struttura altamente porosa e interconnessa svolge un’azione osteoconduttiva in grado di favorire la colonizzazione cellulare, la circolazione delle sostanze nutritive e una rapida vascolarizzazione. Dopo aver assolto la funzione di riempimento, sostegno e osteoconduzione, i sostituti ossei SpherHA vengono completamente degradati dall’attività osteoclastica e fisiologicamente rimodellati in nuovo tessuto osseo vitale.

 

Per maggiori dettagli: SpherHA – Scheda prodotto

 

 

L’importanza del collagene e l’innovazione dei peptidi

La prima circumnavigazione del globo, effettuata da Ferdinando Magellano nel 1520, si concluse con la drammatica perdita di quasi tutto l’equipaggio a causa dello scorbuto, una malattia con sintomi devastanti come: piccole e numerose emorragie causate dalla fragilità dei vasi sanguigni, apertura e mancata cicatrizzazione delle ferite, perdita di denti, dolori diffusi, insufficienza respiratoria e arresto cardiaco. La causa stava nell’alimentazione: gli alimenti a bordo delle navi erano completamente privi di vitamina C (la quale è presente, invece, in agrumi, frutta fresca, pepe, pomodori, patate e broccoli). Questo nutriente, che possiamo assumere solo attraverso la dieta, è essenziale per l’idrossilazione di un amminoacido, la prolina. Si tratta di un processo fondamentale per la corretta sintesi di collagene e, in assenza di questa reazione, la degenerazione del collagene scatena lo scorbuto, una malattia che non colpisce solo pirati ed esploratori, ma rappresenta un rischio anche per alcune popolazioni ai giorni nostri.

 

Il collagene è la proteina principale di tutti i tessuti connettiva. È una proteina elastica con funzione di sostegno, formata da tre catene polipeptidiche avvolte tra di loro. Questa struttura particolare è in grado di creare una resistenza alla tensione maggiore di quella che avrebbe un filo d’acciaio di uguale diametro. Le catene sono formate da un’unità tri-peptidica ripetuta, glicina-X-Y, dove generalmente X è una prolina (Pro) e Y un’idrossiprolina (4-Hyp). Le glicine sono necessarie nei punti in cui le catene di collagene si stringono tra loro, mentre Pro e 4-Hyp sono responsabili dell’avvolgimento delle catene (e si nasconde qui l’importanza della vitamina C). Nonostante l’evoluzione abbia messo a punto una resistenza tanto sofisticata, il collagene non è esente da alcuni processi di degradazione, causati da traumi, stress ossidativo e infiammazione. La liberazione di peptidi dalla catena collagenica è un segnale per l’attivazione locale di eventi che conducono alla sintesi di nuovo collagene, favorendo il rimodellamento della matrice extracellulare dei tessuti connettivi. La somministrazione esogena di peptidi permette di sfruttare questo meccanismo e fornisce gli elementi essenziali per la ricostituzione della proteina collagene, stimolando i processi di biosintesi e regolando negativamente quelli di degradazione. L’integrazione alimentare di peptidi di collagene segue proprio questa filosofia, ma gli effetti sono minori e richiedono l’assunzione di elevate quantità di peptidi per tempi prolungati a causa della loro dispersione in tutti i tessuti e non solo nelle zone bersaglio.

 

Recentemente, abbiamo annunciato l’arrivo del dispositivo medico Arthrys, una soluzione iniettabile di peptidi di collagene idrolizzato pronta all’uso, ulteriormente arricchita da vitamina C e magnesio per proteggere i peptidi dall’ossidazione. Tiss’You ha sviluppato Arthrys come una semplice infiltrazione, per rendere immediatamente disponibili questi peptidi dove è necessario. Il dispositivo può essere utilizzato in qualunque ambulatorio medico per il trattamento delle piccole e grandi articolazioni, dei tendini, dei muscoli e dei legamenti. L’elevata concentrazione dei peptidi permette di rinforzare la struttura collagenica dei tessuti, stimolandone la sintesi e impedendone la degradazione attraverso un’attività pro-rigenerativa. In aggiunta, il trattamento con i peptidi contrasta il dolore e l’infiammazione, migliorando la funzionalità articolare.

Arthrys è una semplice infiltrazione che dura pochi secondi, eseguibile dal vostro medico specialista. Può essere utilizzato da solo o in combinazione con altri trattamenti. È indicato, inoltre, per migliorare il decorso operatorio a seguito di un intervento chirurgico, diminuendo il dolore post-operatorio e accelerando il recupero funzionale.

Approvato il marchio CE per il dispositivo medico Arthrys

Tiss’You ha ottenuto il marchio CE per Arthrys, un nuovo dispositivo medico a base di peptidi di collagene idrolizzato.

Ricercando sempre nuove e migliori soluzioni per aiutare le naturali capacità di guarigione del nostro corpo, Tiss’You ha sviluppato Arthrys, una soluzione iniettabile pronta all’uso per il trattamento intra-articolare dell’artrosi e il rinforzo strutturale dei tessuti connettivi. Il suo meccanismo di funzione è basato su peptidi dal peso molecolare medio di 3KDa. La formulazione di questo dispositivo, arricchita con vitamina C e magnesio, agisce direttamente sulle matrici extra-cellulare dei tessuti naturalmente ricche in collagene, migliorando la sintomatologia dolorosa e la funzionalità articolare.

 

Leggi la scheda prodotto per maggiori informazioni.

Nuovo studio clinico in ortopedia su Lipocell

Vi condividiamo un nuovo studio clinico su Lipocell, pubblicato dal Dr. Gianluca Castellarin, chirurgo ortopedico esperto di medicina rigenerativa.

Lo studio mostra i benefici a lungo termine dell’infiltrazione Lipocell in pazienti affetti da artrosi. In particolare, sono stati esaminati 92 pazienti (59 maschi, 33 femmine) con età media 52 e artrosi di grado II o II secondo scala Outerbridge.

Dal punto di vista del dolore, già al primo follow-up a un mese i pazienti mostrano una riduzione del 50% e a un anno di distanza un valore medio di 1 secondo scala VAS, che corrisponde a una quasi assenza di dolore. Secondo la scala funzionale, misurata con questionario Womac, i pazienti recuperano notevolmente già alla prima visita e mantengono i risultati positivi fino a un anno.

Su alcuni pazienti selezionati, è stata anche effettuata una risonanza magnetica di controllo con la quale è stato possibile osservare una riduzione, o anche scomparsa, dell’edema subcondrale peri-lesionale e, in un caso, anche riduzione della lesione condrale.

Lipocell è un dispositivo medico in grado di purificare, direttamente in sala operatoria, il tessuto adiposo del paziente, naturalmente ricco di cellule mesenchimali staminali. Il prodotto così lavorato, nel rispetto della minima manipolazione, è in grado di rilasciare molecole utili alla riparazione dei tessuti danneggiati e di modulare l’infiammazione, ripristinando l’equilibrio omeostatico delle articolazioni e rallentando la progressione artrosica.

Ringraziamo tutti gli autori del lavoro e in particolare il Dr. Gianluca Castellarin per la cura e la condivisione del lavoro, che è disponibile per la consultazione qui sotto.

 

Castellarin G, Mosca S, Micera G, Moroni A. Intra-articular administration of purified autologous adipose tissue for knee osteoarthritis treatment. Minerva Ortop Traumatol 2020;71:93-7. DOI: 10.23736/S0394-3410.20.03976-4

Cellule staminali e cellule mesenchimali: facciamo chiarezza

C’è una frase che sento spesso pronunciare, quando si parla di medicina rigenerativa: “È sbagliato dire cellule staminali, bisogna dire cellule mesenchimali”. Lo dicono sia i medici che i non addetti ai lavori e per capire quanto questa frase sia strana, leggete il seguente esempio.

Andrea, per festeggiare la promozione al lavoro, ha invitato Giulia al ristorante, promettendo di offrire la cena. Al momento di pagare, Giulia si ricorda della promessa e si premura di chiedere ad Andrea: «Ce li hai tu i soldi, vero?». L’uomo, dopo aver controllato il portafoglio, le risponde: «No, ho solamente banconote.»

 

LA CELLULA STAMINALE

Spiegare in un articolo cosa sia una cellula staminale non renderebbe giustizia ad un prodigio biologico divenuto, ormai, protagonista assoluto della ricerca biomedica. Oltretutto, rischierei di annoiare il lettore, o peggio ancora di far confusione: l’esatto opposto dell’intento di questo pezzo. Mi limiterò a descrivere due peculiarità per cui queste cellule sono tanto apprezzate: il self-renewal (Ndr. in italiano “auto-rinnovamento) e la differenziazione.

Attraverso il self-renewal, una cellula è in grado, durante la replicazione, di dare origine ad una copia identica a se stessa. Quando una staminale si divide, infatti, almeno una delle due cellule figlie non subisce alcuna modifica e rimane, in tutto e per tutto, uguale alla cellula madre. Questo consente alla riserva di cellule staminali di un tessuto di rimanere quantitativamente stabile nel tempo. Con l’insorgere di patologie e il progredire dell’invecchiamento, questa abilità si indebolisce.

Con la differenziazione, invece, una cellula staminale può specializzarsi nella funzione specifica di un tessuto, come ad esempio: essere una cellula della pelle (cheratinocita), una cellula del muscolo (miocita), una cellula del sistema nervoso (neurone). La differenziazione è un processo progressivo che avviene attraverso modifiche epigenetiche, ovvero modificazioni in grado di silenziare parti del DNA non utili per quella specifica funzione. In questo modo, rimangono attivi solamente i geni della cellula specializzata e quella che una volta era una staminale ora può sostituirsi alle cellule danneggiate e contribuire al funzionamento di un tessuto.

Le cellule staminali possono essere adulte, o “meno adulte” e la differenziazione può essere toti-, pluri-, multi-, oligo- o unipotente. Il prossimo paragrafo ci aiuterà a capire queste differenze.

LA CELLULA MESENCHIMALE

Il mito della cellula staminale nasce nel momento in cui si crede che essa possa rigenerare qualsiasi tessuto. Una cellula staminale totipotente è in grado di dare origine a tutto (anche alla vita), mentre una cellula staminale pluripotente a quasi tutto (non può originare un organismo da zero). Esiste solo nell’embrione, oppure può essere ottenuta attraverso la riprogrammazione di una cellula adulta invertendo il processo di differenziazione. Nel primo caso ci sono problemi di natura etica, nel secondo bisogna sfruttare tecniche di manipolazione cellulare avanzata come il metodo di Yamanaka (premio nobel per la medicina nel 2010 per le famose iPSC – induced Pluripotent Stem Cells) o il trasferimento nucleare di cellule somatiche (ricordate la pecora Dolly?).

Facendo un passo indietro, però, esistono anche le cellule staminali adulte che possono essere multi-, oligo- o unipotenti. Le cellule staminali multipotenti non possono differenziare in tutti i tessuti come quelle pluripotenti, ma solo in una determinata categoria di tessuti che hanno tra loro la medesima origine embrionale. Le cellule mesenchimali sono cellule staminali adulte che, come suggerisce il prefisso mes-, possono differenziare in tutti i tessuti di origine mesodermica (il mesoderma è un foglietto embrionale da cui origina tutto l’apparato muscoloscheletrico, le cellule del sangue e altri organi). Sono state identificate per la prima volta nel midollo osseo nel 1970, poi in altri tessuti e, solo nel 2001, nel grasso. Nella medicina rigenerativa, sono molto apprezzate per la semplicità del prelievo e del loro utilizzo. Anche se non possono differenziare in tutti i sottotipi cellulari, sono in grado di eseguire in maniera eccellente una capacità delle cellule staminali che finora non abbiamo citato: rilasciare, in risposta all’ambiente, molecole in grado di favorire la rigenerazione.

QUINDI?

Non tutte le cellule staminali sono mesenchimali, ma certamente tutte le mesenchimali sono staminali. Negli articoli scientifici si parla sempre di MSC, che è l’acronimo di Mesenchymal Stem Cells. Il dubbio, per chi fa ricerca, è un altro. Nel 2008, si è scoperto che le cellule mesenchimali derivano dai periciti, cellule con funzione contrattile che circondano le pareti dei capillari. Non si è ancora certi se tutte le mesenchimali siano di derivazione pericitaria, ma si è certi non tutti i periciti diano origine alle mesenchimali.

Se l’ultima frase vi ha confuso, è perché la biologia è complicata, ma di una cosa possiamo essere sicuri: parlare di cellule staminali non è pericoloso come sembra, se si conosce il significato delle parole, anzi, rischiate anche di fare bella figura.

Omar Sabry

Fonti:

Pierre Charbord.  Bone marrow mesenchymal stem cells: historical overview and concepts. Hum Gene Ther. 2010 Sep; 21(9): 1045–1056. DOI: 10.1089/hum.2010.115

Patricia A. Zuk. The Adipose-derived Stem Cell: Looking Back and Looking Ahead. Mol Biol Cell. 2010 Jun 1; 21(11): 1783–1787. DOI: 10.1091/mbc.E09-07-0589

Arnold I Caplan. All MSCs Are Pericytes? Cell Stem Cell 2008, 3 (3), 229-30 DOI: 10.1016/j.stem.2008.08.008

Pubblicazione di Lipocell

Vi segnaliamo la nostra nuova pubblicazione sullo Special Issue intitolato “Advances in Regenerative Medicine and Tissue Engineering” della rivista MDPI Processes. In quest’ultimo articolo, abbiamo caratterizzato Lipocell da un punto di vista cellulare e istologico. I seguenti paragrafi sono spunti tecnici dedicati agli addetti ai lavori, il pubblico generico, se preferisce, può saltare alla conclusione dell’articolo.

 

QUANTE CELLULE CI SONO?

Il meccanismo di funzione su cui basa la tecnologia Lipocell è una membrana dialitica in grado di separare gli elementi di una soluzione, in questo caso il grasso lipoaspirato. Il filtro ha una porosità pari a 50 µm utile a trattenere il tessuto adiposo, ma permeabile a soluzione di lavaggio, sangue e olio in eccesso. La conta delle cellule mesenchimali staminali (MSC) è stata effettuata confrontando il dispositivo standard con filtri più piccoli (15 e 20 µm). Lipocell, in media, ha 2-3 volte più MSC del grasso non trattato, mentre tra i diversi filtri non sono state evidenziate differenze, suggerendo che un setto filtrante con porosità inferiore non è utile a trattenere più cellule.

 

DAL ROSSO AL GIALLO

Il sangue e l’olio in eccesso, in caso di lipofilling (re-innesto di tessuto adiposo nel paziente a scopo riempitivo o rigenerativo), può essere un problema. Si tratta di residui di scarto, senza un’attività biologica riconosciuta, che possono causare reazioni infiammatore. Il filtro Lipocell da 50 µm è in grado di purificare il tessuto da questi elementi, con più efficacia e rapidità rispetto a filtri più piccoli o altre metodiche.

 

UN METODO PIÙ CONSERVATIVO DELLA CENTRIFUGAZIONE

Da un punto di vista regolatorio, una manipolazione eccessiva del tessuto adiposo trasforma il prodotto in un ATMP, acronimo di Advanced Therapeutic Medicinal Product. Di conseguenza, bisognerebbe sottostare ad una regolamentazione severa non compatibile con la pratica clinica routinaria. La coltura cellulare, ad esempio, modifica in maniera sostanziale il prodotto cellulare, ma lo stesso può essere detto della digestione enzimatica o di una significativa manipolazione meccanica che, alterando la struttura del tessuto, diventano manipolazione non più minima. Nel nostro articolo abbiamo caratterizzato gli elementi della matrice extracellulare attraverso analisi biochimiche ed eseguito alcune istologie per paragonare il prodotto Lipocell con il grasso non trattato e il grasso centrifugato. Lipocell mantiene un’architettura del tessuto del tutto paragonabile al grasso nativo, mentre quello centrifugato mostra una sostanziale alterazione della struttura.

 

IL RINGER LATTATO

La procedura con Lipocell prevede anche l’utilizzo di una soluzione di lavaggio. I risultati hanno dimostrato che il lavaggio con il Ringer Lattato (anziché con la soluzione salina) preserva completamente il potenziale proliferativo delle MSC. Il meccanismo d’azione dietro a questa novelty richiedere ulteriori investigazioni, ma una possibile spiegazione può essere dovuta al fatto che le cellule del tessuto adiposo, dopo la liposuzione, vanno in shock ischemico per mancanza di ossigeno (siccome non hanno più l’apporto vascolare). In carenza di ossigeno, le cellule avviano la respirazione anaerobica che è un modo meno efficiente di produrre energia, ma la somministrazione di ione lattato potrebbe compensare questa reazione ripristinando il ciclo di Krebs e migliorare, così, la sopravvivenza cellulare.

 

MEDICINA RIGENERATIVA ALLA PORTATA DI TUTTI

Lipocell è un dispositivo medico classificato IIa per la processazione intra-operatoria di tessuto adiposo. Il meccanismo di funzione è basato su una membrana dialitica che, in associazione ad un lavaggio, è in grado di separare il tessuto adiposo dagli elementi di scarto come: soluzione di lavaggio in eccesso, olio libero e sangue. Il prodotto finale risulta arricchito di MSC con un grande potenziale rigenerativo (vedi il nostro recente articolo: “Grasso è bello”), con il vantaggio di essere facilmente iniettabile e con un’architettura del tessuto conservata che rispetta i requisiti normativi più stringenti.

Omar Sabry

Grasso è bello

Se c’è qualcosa di davvero sottovalutato nel nostro corpo, quello è certamente il grasso (termine medico: tessuto adiposo).

Fianchi larghi, pancia in eccesso: le persone rimuoverebbero volentieri il proprio grasso corporeo. Eppure, per migliaia di anni, essere sovrappeso era motivo di ammirazione, in quanto segno di prosperità e fertilità, ma anche di fascino. Solo in età contemporanea l’ideale di bellezza ha spostato l’attenzione sul magro, ponendolo come modello per i motivi più disparati tra cui la nozione medica, assolutamente corretta, che correla l’obesità a numerose patologie.

Ma perché esiste il grasso? Da un punto di vista biologico non è né per renderci belli, né per renderci brutti, ma per assolvere alcuni compiti importanti, come proteggere organi e tessuti agendo da cuscinetto, impedire la dispersione del calore generato dal nostro organismo e regolare le riserve di energia (glucosio e lipidi) accumulandole e liberandole al bisogno. Il tessuto adiposo partecipa a molte importanti funzioni fisiologiche, come il metabolismo, la fertilità, la coagulazione, ma l’aspetto più sorprendente è l’abbondante presenza di cellule staminali adulte, che rende il grasso un’appetibile fonte cellulare anche grazie alla facilità con cui può essere ottenuto. Il motivo per cui tale risorsa ci sia non è chiaro ai ricercatori e, ad essere onesti, le staminali sono state scoperte nel tessuto adiposo relativamente da poco, ovvero nel 2001. Già all’inizio del XX secolo, però, qualcuno intuì che il grasso fosse un tessuto speciale. Durante la Prima Guerra Mondiale, il Dott. Hippolyte Morestin, pioniere della chirurgia plastica tentò di eseguire, con discreto successo, le prime ricostruzioni facciali di soldati feriti, utilizzando grasso umano autologo. E in epoca ancora più datata, durante la Rivoluzione Americana, veniva addirittura usato il grasso di maiale per trattare le ustioni di guerra. Con le evoluzioni della chirurgia ricostruttiva, il grasso ha mantenuto la sua importanza sia per un motivo estetico, che per la capacità volumetrica, in grado di riempire i grandi vuoti delle perdite di sostanza. La tecnica è chiamata lipofilling e consiste nell’aspirazione di grasso dal sottocute allo scopo di re-iniettarlo sul paziente stesso. Nel corso degli anni, la procedura si è evoluta per ottenere innesti sempre più raffinati, purificati dall’olio residuo che causa reazioni infiammatorie e ridotti nelle dimensioni per sopravvivere meglio all’impianto. È con questa progressione che si è compreso che il tessuto adiposo avesse soprattutto un’azione rigenerativa e non solo volumizzante. Solo in un secondo momento, i ricercatori hanno identificato nel grasso una presenza (abbondante) di cellule mesenchimali staminali, in grado di differenziare nelle cellule dei tessuti connettivi (osso, cartilagine, muscolo, ecc.), ma soprattutto di rilasciare molecole utili alla riparazione del tessuto in caso di danno.

Oggi il grasso è tornato di moda. Almeno in medicina. Molti dispositivi medici, come Lipocell, sono in grado di purificare il tessuto adiposo direttamente in sala operatoria, rendendolo iniettabile e utile per il trattamento di una vasta gamma di patologie che vanno dall’artrosi al piede diabetico. La biologia, però, è complessa, l’uomo è una macchina misteriosa e noi non sappiamo tutti i motivi per cui il tessuto adiposo sia così speciale e utile in medicina. Con ogni probabilità, ciò non dipende solo dall’azione rigenerativa e anti-infiammatoria delle cellule staminali. Nel nostro laboratorio, studiamo i componenti della matrice extracellulare del tessuto adiposo e indaghiamo il potere anti-ossidante dei lipidi, che potrebbe avere una grande influenza sui meccanismi di rigenerazione tissutale. L’obiettivo è comprendere che differenze ci siano tra un individuo e l’altro e quanto dieta e abitudini possano influire sul potenziale terapeutico di questo tessuto.

Nel frattempo, non disperiamoci per quei chili di troppo; dopo tutto, ora abbiamo una scusa scientifica in più per dire che “grasso è bello”.

Omar Sabry

 

Sources:

Benmoussa N, Hansen K, Charlier P. Use of Fat Grafts in Facial Reconstruction on the Wounded Soldiers From the First World War (WWI) by Hippolyte Morestin (1869-1919). Ann Plast Surg. 2017 Nov;79(5):420-422. doi: 10.1097/SAP.0000000000001221.

Murray CK, Hinkle MK, Yun HC. History of infections associated with combat-related injuries. J Trauma. 2008 Mar;64(3 Suppl):S221-31. doi: 10.1097/TA.0b013e318163c40b.

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Trattamento dell’artrosi d’anca con Monocytes – Case Report

Il gruppo di ortopedia guidato dal dottor Vincenzo Madonna presso Humanitas Castelli di Bergamo ha pubblicato un case-report con il nostro dispositivo Monocytes.

La medicina rigenerativa è utilizzata per trattare i tessuti danneggiati attraverso un approccio poco invasivo. In questo modo, è possibile prevenire interventi maggiori, oppure velocizzare i tempi di recupero dopo la chirurgia. In caso di artrosi in stadio avanzato, però, è necessario sacrificare l’articolazione con una protesi e le terapie biologiche non sono più utili. Nondimeno, la cartilagine spesso invecchia in entrambi i lati e quando si procede nell’impianto di una protesi (Ndr. ginocchio o anca, in questo caso è indifferente), la medicina rigenerativa può essere utile nell’articolazione definita “controlaterale”, ovvero nel lato opposto.

In questo lavoro, emergono i risultati clinici di questa strategia terapeutica. La paziente, prima del trattamento, riportava disabilità e zoppia causate dalla condizione artrosica dell’anca destra, candidata alla protesi, ma anche dolore continuo e limitazione di mobilità sul lato sinistro. L’anca protesizzata (destra) ha ottenuto i buoni risultati attesi, ma anche la zona trattata (sinistra) con Monocytes (Ndr. cellule mononucleate da sangue periferico) ha evidenziato una scomparsa totale del dolore e un ottimo recupero della mobilità, con un altissimo indice di soddisfazione da parte della paziente.

I monociti sono in grado ristabilire l’omeostasi articolare attraverso il rilascio di fattori di crescita e mediatori dell’infiammazione. Inoltre, i macrofagi, che derivano dalla differenziazione dei monociti, sono in grado di riciclare gli elementi ossidati del liquido sinoviale come l’acido ialuronico e la lubricina, migliorando l’equilibro metabolico e meccanico dell’articolazione.

Ringraziamo tutti gli autori del lavoro e in particolare la dottoressa Francesca De Caro per la cura e la condivisione del lavoro, che è disponibile per la consultazione qui sotto.

 

Francesca De Caro, Arcangelo Russo, Gabriele Cortina, Marco Collarile, Vincenzo Condello, Vincenzo Madonna. New Trends in Treatment of Osteoarthritis: “From Cells to Metal”. A Case Report of Simultaneous Different Approach to Bilateral Hip Osteoarthritis. Ann Case Report 2019, 11: 247. DOI: 10.29011/2574-7754/100247

 

Omar Sabry